ALPI GIULIE – VIA DELLA VITA E TRAVERSATA VEUNZA-STRUGOVA-PONZE

Il testo che segue ripropone, con qualche ritocco formale, un articolo pubblicato sul Bollettino del CAI di Prato del 2016. Chi scrive non ha più ripetuto questo itinerario dopo il 2015, e non è quindi in grado di fornire aggiornamenti sullo stato attuale delle attrezzature presenti in loco e in particolare sulla via della Vita: chi volesse percorrerlo ora, dunque, si dovrà informare attentamente altrove. Con certezza, però, è stata di recente riattrezzata e messa in sicurezza la via Kugy alla Strugova, assai importante perché consente a chi lo vuole o ne avesse bisogno di dividere in due, abbreviare o interrompere il lungo giro qui descritto.

La via ferrata della Vita sale dalla valle dei laghi di Fusìne, presso Tarvisio, a Forcella Sàgherza (Zagerca in sloveno) sul crinale principale delle Alpi Giulie tra Mangart e Jàlovec; è una delle più celebri della zona, non solo per l’orrida bellezza dell’ambiente che attraversa, ma anche perché legata al ricordo di chi in altri tempi la percorreva in discesa con attrezzatura a dir poco sommaria, a concreto rischio della propria vita, per fuggire in Italia dalla Jugoslavia di Tito. Poco oltre Forcella Sagherza verso lo Jalovec, dal M. Termine si stacca un importante crinale secondario che attraverso il M. Vèunza, la Cima Strùgova e le quattro Ponze scende alla Sella di Ràteče risalendo di là alla catena delle Caravanche, separando i bacini della Drava e della Sava (affluenti del Danubio) e costituendo confine prima tra Italia e Slovenia e poi tra Austria e Slovenia. Sia la via della Vita che la traversata in cresta – parzialmente attrezzata – di questo crinale costituiscono meta ambita per l’escursionista esperto; poiché le informazioni in materia sono vecchie, confuse e insufficienti, specie sullo stato delle attrezzature, si ritiene di fare cosa utile agli interessati descrivendo la situazione a luglio 2015.
A tale data la via della Vita risultava ufficialmente chiusa; ma in realtà è percorribile, con alcune avvertenze. Intanto, è importante sottolineare che non esistono ritorni brevi e facili da questo itinerario: per chi parte, come è ovvio fare, dai laghi di Fusine o meglio dal rifugio Zacchi, e non vuole traversare in Slovenia ma effettuare un anello, la sola alternativa alla traversata delle Ponze è la salita della lunga cresta E del Mangart (magari evitandone la vetta) con discesa a Forcella Mangart, al bivacco F.lli Nogara e al punto di partenza: anche così, una bella ‘passeggiata di croda’, come si diceva una volta! Poi: l’arrivo all’attacco della ferrata pone qualche problema di orientamento, perché la traccia è spesso poco evidente e i segni radi e sbiaditi. L’attacco presenta l’incognita di un nevaio la cui altezza e difficoltà dipendono dall’annata: noi abbiamo raggiunto il primo cavo insinuandoci tra neve e parete su una cengia scabrosa e fradicia, ma senza calpestare la neve. La partenza è verticale e delicata, perché il cavo d’acciaio e la corda con nodi che la assicurano pendono ambedue liberamente, senza essere ancorati in basso. Al di sopra, la ferrata si svolge su splendide ed espostissime cenge bene attrezzate, che sfruttano al meglio la struttura della parete: viene in mente la via ferrata italiana al Mangart, ma questa è più lunga e in ambiente più severo. Dopo un duro tratto verticale e altre cenge si mette piede in un facile catino ghiaioso e roccioso, sopra il quale ci s’imbatte nel problema per cui, forse, la ferrata è stata dichiarata chiusa: in alto si vedono altri cavi, che però a detta del gestore del rifugio Zacchi sono disancorati in più punti; abbiamo quindi preferito salire, verso destra, una scarpata rocciosa molto ripida, lungo vecchi, radi e sbiaditi segni rossi, che non bisogna assolutamente smarrire. Si arriva così al bivio tra Forcella Sagherza e bivacco CAI Tarvisio – ora Busettini – a destra, e la Veunza a sinistra. Su una roccia, un NO cubitale invita perentoriamente a non scendere dove siamo saliti. La visita al bivacco, situato in bella posizione panoramica sotto il Piccolo Mangart di Coritenza, è doverosa e breve, con qualche passo esposto e altri cavi; dopodiché, tornati al bivio, ci si dirige verso la Veunza, “montagna superba” (Buscaini), ancora su terreno non elementare e in parte attrezzato. Dalla vetta si va a lambire il mitico catino sommitale sospeso, ghiaioso e nevoso, e poi da una forcellina si scende alla Forca di Fusine, percorrendo quello che forse è il tratto più impegnativo e delicato di tutta la gita: si tratta di scendere 90 metri su terreno in parte molto ripido e franoso e perciò decisamente infido, in parte su vera e propria parete rocciosa. La discesa è assistita da cavi, alcuni abbastanza nuovi e altri vecchi, senza i quali, comunque, non sarebbe possibile a un escursionista di scendere: ma, a parte il pericolo costante dei sassi, si segnalano alcune criticità: una interruzione molto esposta di un paio di metri; un traverso assicurato da un cavo lasco, da usarsi quindi non in trazione ma solo per equilibrio; segni di preoccupante logorìo su molti cavi e ancoraggi, da maneggiare quindi con molta cautela; e una discesa verticale e decisamente atletica su due cavi, ambedue scomodi, per pochi ma lunghi metri. La successiva traversata di Cima Strugova (in realtà due o tre cime) è lunga e sempre impegnativa; i cavi che, da qui per tutto il resto della traversata, sono qua e là ancora sporadicamente presenti sono tutti vecchi e da utilizzare a ragion veduta: ma sono preziosi per l’orientamento come i benemeriti vecchi segni rossi quando ci sono. Nella discesa dopo l’ultima cima, attenzione in un punto in cui, esattamente sul crinale, si trova un caratteristico ometto costruito con due soli, grandi sassi: la continuazione è in basso a sinistra, sul versante italiano, dove si nota un cavo poco rassicurante che sembra terminare nel vuoto; se, benché poco convinti, lo si raggiunge, si noterà un segno rosso, una cengia, e la sospirata continuazione verso Sella Strugova. Prima della sella si raggiunge il bivio segnalato con la via Kugy alla Strugova, la sola possibile via di fuga verso i laghi di Fusine: noi non la conosciamo, ma probabilmente non è più difficile della traversata di cresta. Dopo Sella Strugova, si percorre a lungo la triplice Ponza di Dietro, su cresta rocciosa e in qualche punto mugosa, spesso molto affilata, ma senza speciali problemi né tecnici né di orientamento; infine, la breve discesa alla Forca Rossa è l’ultima vera difficoltà, svolgendosi su terra ed erbe ripidissime, lungo cenge ben tracciate ma strette e decisamente esposte, con qualche vecchio cavo da maneggiare, al solito, con circospezione. Dopo la Forca Rossa, la traversata della Ponza di Mezzo è finalmente facile e rilassante; dalla cima, un lungo sentiero consentirebbe di scendere al rifugio Tamar in Slovenia. Raggiunta poco dopo Forca Plànizza (Planica in sloveno) e rinunciando alla Ponza Grande, si scende ora ripidamente verso il rifugio, su terreno che richiede attenzione fino all’ultimo, in particolare in due tratti attrezzati, tutt’altro che banali, che si trovano poco sopra il rifugio, e che consigliano di tenere indossata l’attrezzatura da ferrata fino alla fine.
Noi, che eravamo solo in due ma che fino alla Forca Rossa non conoscevamo il percorso, da rifugio a rifugio abbiamo impiegato più di 11 ore, perdendo un po’ di tempo per raggiungere l’attacco della via della Vita, ma senza sbagliare nulla in seguito; in diversi punti dubbi, però, abbiamo studiato con calma la continuazione dell’itinerario, in particolare nella discesa verso Sella Strugova. Il dislivello è mal valutabile a causa delle molte contropendenze, ma certo non è inferiore a 1400 m; le difficoltà tecniche non vanno oltre il II grado in pochi passaggi. L’attrezzatura da ferrata e il casco sono indispensabili; noi avevamo anche 30 metri di corda, un minimo di attrezzatura alpinistica, ramponcini d’emergenza per ambedue e una piccozza leggera: nulla di tutto ciò ci è servito, ma la prudenza non è mai troppa su un itinerario senza vere vie d’uscita e distante ore e ore dalle più vicine presenze umane. Per strada non abbiamo incontrato nessuno.
Data la lunghezza della gita, per noi era impensabile proseguirla fino alla Ponza Grande, che del resto già avevamo salito: consigliamo invece di farne la traversata come gita a parte, come noi stessi avevamo fatto in precedenza: salendola cioè da Forcella Ponza per la cresta S (la famosa ‘cresta Susner’ di Kugy) e scendendola per la via ferrata.
A chi infine non fosse ancora sazio di Ponze consigliamo quest’altra gita, che noi abbiamo effettuato dal rifugio nel pomeriggio precedente la traversata: salita su sentiero segnato alla capanna Ponza e da lì alla Porticina, suggestivo intaglio di cresta verso la val Planica in Slovenia; poi, ridiscesi qualche metro sul versante italiano, su per un’evidente traccia, bella, facile ma non elementare, tra rocce e mughi, alla rocciosa, aerea e solitaria vetta della Ponza Piccola: ottima maniera per passare il tempo dopo il viaggio da casa e la breve salita allo Zacchi, e prima dell’ottima cena e del comodo pernottamento al rifugio.

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