
UN MINISTRO DI SUA MAESTÀ AL BIVACCO ARONTE
Chi sfoglia la guida CAI-TCI delle Alpi Apuane trova il nome di Amery L.S. nella Bibliografia (pg. 23), e lo ritrova poi nella parte alpinistica a proposito del Pizzo d’Uccello, del Grondilice e del Cavallo. Ma se, incuriosito, cerca questo nome nelle pubblicazioni di riferimento (ad es. in Pioneers – Alpinisti britannici sulle Dolomiti dell’Ottocento di Mirco Gasparetto, Nuovi Sentieri 2012) non ne trova traccia.
Chi era costui?
Qualcosa ne scrisse Dante Colli sulla Rivista del CAI (Nelle Alpi Apuane, Gennaio-Febbraio 2003), ma ecco qui sotto qualcosa di più: un articolo su Amery già pubblicato da chi scrive su Le Dolomiti Bellunesi, nel quale della sua sortita apuana si parla sommariamente, preceduto da un altro articolo specificamente dedicato a tale campagna.
La campagna apuana di L. S. Amery
… [vedi articolo seguente] L.S. Amery, dunque, con il fratello Harold e le guide Zaccaria Pompanin di Cortina e Bortolo Zagonel del Primiero, ottenute alcune informazioni via telegrafo da certo “Dr. Vanzetti” (un cliente di Zagonel che risultava informato sulle Alpi Apuane), in data 14 settembre 1912 partì da S. Martino di Castrozza per Massa. A Resceto alla comitiva si aggiunse la migliore guida locale, Giovanni Conti di Resceto, e tutti insieme salirono al bivacco Aronte per trattenervisi qualche giorno.
Amery dette una relazione tecnica della sua campagna apuana in Alpine Journal, 1913, 2, pgg. 43-45: Scrambling in the Carrara marbles. Il suo articolo fu tradotto dal “cav. Eugenio Beni” sul Bollettino della Sezione Fiorentina, 1913, pgg. 95-98: Arrampicate sui marmi di Carrara.
(A parte qualche imprecisione veniale, di questa traduzione bisogna intanto segnalare una certà libertà tendenziosa: Giovanni Conti di Resceto, che nell’originale dopo molti elogi viene definito “most willing to learn from our guides how to manage a rope”, presso il cav. Beni diventa “pieno di buona volontà nel coadiuvare le nostre guide pel maneggio della corda”: chi impara, cioè, è stato promosso coadiutore. Inoltre vi si trova un clamoroso errore o refuso: l’altezza massima delle Alpi Apuane è, in traduzione, iperbolicamente portata a “2900 metri”, mentre nell’originale è di 5800 piedi inglesi, cioè 2042 metri: Amery, correttamente, aveva arrotondato la quota (anche se più tardi rivelatasi errata) attribuita da padre Giovanni Inghirami al Pisanino nel 1873: 2049 metri)
La guida ligure del 1921 cita in bibliografia l’articolo di Amery e la sua traduzione italiana, ma nel resto del libro ignora le vie di Amery. Le guide CAI-TCI del 1958 e del 1979 ne riportano cinque: due al Pizzo d’Uccello, una al Grondilice e due al Cavallo, riferendole erroneamente all’agosto anziché al settembre del 1912, e in un caso introducendo un inesistente C. Amery al posto di L. S. Amery. L’edizione del 1958 cita tra le fonti, oltre all’articolo di Amery, anche il libretto di guida di Giovanni Conti.
Le vie complessivamente percorse dalla comitiva Amery sono in realtà sei: nell’originale si parla in effetti di “some half a dozen”, almeno tre o quattro delle quali furono prime ascensioni. Ecco alcune osservazioni al riguardo.
La via sul versante E del Pizzo d’Uccello (it. 8b ’79 = 8c ’58) è descritta assai vagamente già nell’articolo originale, dove però la premessa è che il Pizzo d’Uccello da E “appariva molto promettente perché la montagna da questo lato presenta delle creste di roccia più ardite e lunghe più di ogni altra del gruppo”: dato questo riferimento a creste promettenti, non è dunque da escludere che la comitiva abbia in realtà salito la cresta di Capradossa al di sopra dell’omonimo Ripiano, che è una delle due creste che limitano il versante E (l’altra è percorsa dalla via normale).
La via sul versante SO del Pizzo (8f ’79 = 8b ’58) – una variante alla via normale che la comitiva percorse in discesa – nelle guide CAI è appunto collocata sul versante di Vinca (SO), ma l’articolo originale parla di versante SE: se non è una svista di Amery si tratterebbe quindi del versante di val Serenaia.
La via sulla parete E del Grondilice (15e ‘79 = 15f ’58), certamente nuova, descritta senza particolari nell’originale, si svolge “probabilmente sulla sinistra, dove il dislivello è minore”: così la guida del 1979.
Non è rammentata nelle guide CAI la via di discesa dal Grondilice percorsa dalla comitiva inglese, “by a chimney on the S. face which would make a good alternative route”.
La via nuova sulla parete SE del Cavallo (65h ’79 = 65i ’58) “offers, possibly, the best bit of scrambling in the whole range”, ed è in effetti divenuta classica e viene tuttora percorsa: se non è davvero “la migliore dell’intera catena”, lo è senz’altro tra le sei vie percorse dalla comitiva inglese. È ben descritta nelle guide CAI.
La via nuova al Cavallo “from the E.” (65fd ’79, versante NE via di centro = 65g ’58, versante NE), a sinistra del canal Cambrone per chi guarda dal basso, è descritta nel modo più dettagliato dalla guida del 1958; da segnalare che Amery definisce “distinctly interesting” parte del camino iniziale.
Si noti che Giovanni Conti aveva percorso due mesi prima con E. Aghib (12 luglio 1912), in prima ascensione, la cresta E alla quota più meridionale del Cavallo (it. 65g ’79); sarà stato forse lui a proporre ai suoi clienti inglesi (in questo caso, quindi, davvero coadiutore o più delle loro guide) due vie nuove poste simmetricamente ai suoi due lati.
Le campagne dolomitiche di L. S. Amery (da Le Dolomiti Bellunesi n. 88 estate 2022)
L’inglese Leopold Stennett Amery (1873-1955) fu prima giornalista e poi importante politico e uomo di stato ai tempi di Chamberlain e Churchill. Coltissimo e poliglotta, giramondo infaticabile sia per diletto che per esigenze di lavoro e di governo, raccontò i suoi viaggi (e le sue ascensioni) in due libri mai tradotti in italiano: Days of fresh air (1939), che si ferma alla soglia della prima guerra mondiale, e In the rain and the sun (1946); i titoli sono le due metà di un verso di una popolare canzone studentesca. Gli interessi di Amery spaziavano dalla geografia fisica e politica alla storia, dall’organizzazione del commercio nell’Impero al riordino delle forze armate britanniche, e fu scrittore prolifico su questo e altro, senza negarsi neanche a qualche prova poetica. Gli piacevano tutte le attività all’aria aperta e in particolare l’alpinismo; le sue campagne in montagna, quasi sempre con guida, più che a vie nuove miravano alla ripetizione di grandi e impegnative classiche di prestigio consolidato quali ad es. la cresta di Zmutt al Cervino, la traversata Täschhorn-Dom o quella della Meije; ma la sua curiosità lo spinse a visitare quasi ogni angolo delle Alpi dal Delfinato alle Giulie, dall’Oberland e dalle Alpi calcaree nordorientali alle Dolomiti, e anche le Grigne e le Alpi Apuane, i Pirenei, i monti dei Balcani e quelli dell’Africa meridionale, del Canada e della Nuova Zelanda. Aprì comunque almeno una via nuova in Dolomiti (di cui si dirà qui sotto) e altre minori in Apuane, e nelle Montagne Rocciose canadesi fu addirittura il primo salitore nel 1929 di una montagna che già portava il suo nome (Mount Amery) in onore del rappresentante di Sua Maestà: Amery fu infatti Segretario di Stato per le Colonie dal 1924 al 1929. Fu anche presidente dell’Alpine Club dal 1943 al 1947.
Quando Amery visitò per la prima volta le Dolomiti nel 1898, aveva già salito tra l’altro il Weisshorn, la Dent Blanche e il Cervino. A fine giugno dalla val Gardena giunse a Cortina, “la gemma delle Dolomiti” – e le donne cortinesi gli parvero “tra le più belle” che avesse mai visto; e scese all’hotel Faloria, diretto da Alma Menardi, che “conduceva il suo hotel con criteri rigidamente selettivi. Eccettuati pochi distinti arrampicatori come il Prof. Sinigaglia, ella si rifiutava di accettare qualsivoglia ‘straniero’, cioè non-inglese (una cosa ancora possibile in quei giorni); e anche tra gli inglesi non ne avrebbe accettati di trasandati. L’ho vista respingere senza alcun imbarazzo tre signore nubili dall’aspetto antiquato che avevano prenotato le stanze settimane prima. Di conseguenza la compagnia, costituita in gran parte di vecchi amici della casa, era ottima.” Amery, tipico esponente e strenuo paladino dell’Impero britannico, e gentiluomo attento al decoro, avrà certo apprezzato la severa policy della sig.ra Menardi.
Amery si assicurò “una guida eccellente” in Zaccaria Pompanin (detto ‘Sacar de Radéšchi’: i motivi familiari di questo richiamo al maresciallo Radetzky sono troppo lunghi da spiegare qui; i lettori cortinesi già li conoscono), che lo portò subito sulla via alla Croda da Lago aperta tre anni prima da Sinigaglia con la stessa guida e Angelo Zangiacomi, della quale Amery apprezzò molto il camino Pompanin. Poi salirono il Sorapiss da N lungo la via di Müller e von Waltershausen con Antonio Dimai, Arcangelo Dibona e Pompanin del 1892; Amery aveva partecipato fino all’una di notte alle danze di paese per il genetliaco dell’Imperatore Francesco Giuseppe; “ma questa, in quei giorni giovanili, non era una difficoltà insuperabile” per lui, che raggiunse i compagni quando, dopo aver dormito al rifugio ora Vandelli, si trovavano già vicini alla vetta.
Poi fu la volta della Cima Piccola di Lavaredo per la via di Helversen con Sepp e Veit Innerkofler del 1890 lungo il camino E della parete N; poi della Cima Grande, la cui salita è rammentata (senza particolari) in Days of fresh air ma non nel libretto di guida di Pompanin; poi del Piz Popena per la via inglese sulla cresta S, aperta poco prima, il 4 agosto, da Phillimore e Raynor con Dimai, Michel Innerkofler e Pompanin.
Poi tornarono al Sorapiss, il cui versante S “si alza a picco per quasi 7.000 piedi sopra la valle di San Vito”. “La parete S del Sorapis era ancora vergine, e alla mia proposta Pompanin rispose prontamente che l’avremmo fatta nostra prima che se l’aggiudicassero altri. Così, rafforzati per l’occasione dalla presenza di Tobia Menardi, scendemmo a San Vito in esplorazione e poi a compierne la scalata [che si svolse in realtà sulla parete O, rivolta a San Vito, della Croda Marcora]. Oltre al fatto che fu lunga, varia e molto piacevole, non ricordo nessun dettaglio. Né mi risulta che questa, che fu la mia sola prima ascensione di qualche importanza nelle Alpi, sia mai stata registrata come tale.” In realtà fu bensì riportata dalla Guida Berti del 1928 e successive, ma in maniera erronea, come è già stato osservato da Johann Mutschlechner, trisnipote e studioso di Pompanin (alla cui cortesia sono debitore per le riproduzioni delle pagine tratte dal libretto di Pompanin e per molte informazioni e suggerimenti): senza menzione di Menardi, con un fantomatico Hemery invece di Amery, e con una datazione al 1909 che le toglierebbe il pregio di essere la prima via su quel versante, dal momento che così sarebbe stata preceduta da quella del 1906 di Gassner, König e von Saar.
Sul libretto di Pompanin Amery annota anche una salita alla “prima cima a S di quella principale [della Croda da Lago] da SE”: potrebbe essere la via alla Punta N della Cima d’Ambrizzola di Sinigaglia e De Falkner aperta appunto da Pompanin nel 1895 con Giuseppe Colli (ma da O e poi S).
Assentatosi Pompanin per una settimana, Amery effettuò eccezionalmente alcune avventurose salite senza guida. In ozio sulla cima di uno dei Cadini di Misurina i due britannici – l’altro era un Prof. Edgedworth irlandese – iniziano a declamare nientemeno che il Paradiso, con il risultato che “la dolce musica italiana” li induce a un sonno da cui si svegliano in mezzo a una fitta nebbia sopraggiunta nel frattempo, che ne rende complicata la discesa. Con un altro inglese Amery salì un non meglio precisato camino sul Cristallo – che si rivelò inopinatamente gelato – sotto un bombardamento continuo di sassi e ghiaccioli sciolti dal sole; un altro amico con cui si diresse alla Cinque Torri si palesò affetto da vertigini; pertanto, scrive Amery, ”lo lasciai legato in un posto sicuro mentre portavo a termine da solo la breve ascensione. Quando tornai scoprii che si era intanto convinto che io fossi morto, e che si era rassegnato ad aspettare arroccato sul suo ripiano finché una spedizione di ricerca non lo avesse trovato.”
Infine, di nuovo con Pompanin tentò una notevole via nuova sulla parete SE del Col Rosà, interrottasi poco sotto la cima quando Amery fu colpito a un occhio da un sasso; la via fu completata l’anno dopo da Corry con lo stesso Pompanin e Dimai.
Nell’estate del 1912, con il fratello Harold e alcuni amici, dalle Alpi austriache Amery giunse a Dobbiaco e di lì a Cortina, per la seconda volta in Dolomiti. “All’hotel Faloria la mia vecchia amica, la direttrice Alma Menardi, ci ricevette a braccia aperte, ma si scusò mestamente per i cambiamenti negli ospiti del suo stabilimento. Quando ero stato lì la prima volta, quattordici anni prima, ella i ‘forestieri’ non li ammetteva proprio, e anche gli inglesi solo se le piaceva l’aspetto. Ora i tempi erano cambiati; pochi inglesi viaggiavano, e lei doveva sopportare i suoi connazionali [austriaci] e perfino [!] francesi, tedeschi e italiani.” O tempora o mores! avrà pensato tra sé questa volta Amery, che era eccellente cultore di lettere classiche, aveva sempre con sé il suo Orazio e al bisogno sapeva citare, anche in originale, Virgilio e il prediletto Omero. Dopo qualche salita di allenamento alle Cinque Torri, ancora con Pompanin salì di nuovo la sua via alla Croda da Lago, e poi una via aperta dopo il 1898 alla parete S della Punta Fiames nel Pomagagnon – sarà stata quella del 1901 di Heath con Dimai e Agostino Verzi; e infine la via inglese alla parete SO della Tofana di Mezzo (Phillimore e Raynor con Dimai e Colli, 1897).
Dopo dieci giorni a Cortina Amery, con il fratello e Pompanin, a cui si unì ora l’altra guida Bortolo Zagonel, si trasferì nel Catinaccio, dove in un giorno salì le tre più note Torri del Vajolet, rimanendo colpito soprattutto dalla difficoltà ed esposizione della fessura Pichl alla Torre Delago e da una “fessura maledettamente difficile” sulla Winkler, certamente quella percorsa in apertura da Winkler medesimo e che ne porta il nome. Il tempo cambiò; e dopo una breve salita alla Torre Rizzi nel Larsec, da Predazzo Amery si trasferì a San Martino di Castrozza. Sulla strada del Passo Rolle capitò un incidente alla vecchia autovettura austriaca su cui viaggiavano, e la comitiva (che comprendeva le mogli dei due Amery) dovette farsi largo al buio nella neve fino a una locanda di Paneveggio dove tutti si consolarono e riscaldarono “con abbondanti libagioni di glühwein [vin brulé]” prima di pernottarvi. A San Martino incontrarono la famosa guida Michele Bettega; ma anche lì nevicava di continuo, e fu possibile salire solo la modesta Torre Felicita in Val di Roda. A questo punto Amery, a cui non mancavano certo spirito d’iniziativa e conoscenze geografiche e alpinistiche, dimostrò ancora una volta la sua apertura mentale proponendo di trasferirsi in Toscana, dove aveva sentito dire “che si potevano trovare vere e quasi sconosciute arrampicate sulle montagne di marmo sopra Carrara.” Zagonel confermò, avendone anche lui sentito parlare da un cliente, e così tutti (eccetto le mogli, lasciate al Lido di Venezia) viaggiarono fino a Massa. Dare conto di questa campagna apuana esula dall’argomento del presente articolo, anche se proprio da lì l’autore (toscano) di questo articolo ha tratto lo stimolo ad approfondire la figura di Amery; basti dire che la comitiva, a cui si era aggiunta la migliore guida locale, Giovanni Conti di Resceto, vi aprì quattro vie nuove – di cui una divenuta classica – a Cavallo, Grondìlice e Pizzo d’Uccello. Ma “ciò che contava era la delizia di vivere all’aperto nel mondo a sé di quel piccolo altopiano [la comitiva fece base per alcuni giorni al bivacco Aronte a 1659 m]; di camminare su creste aeree o in dolci boschi di faggio, o anche solo di crogiolarsi come in una poltrona nella coltre erbosa”, tra le creste e il mare che luccicava laggiù in basso; e “la bellezza di quella vista al tramonto supera ogni descrizione.” Poi scesero appunto al mare, a Forte dei Marmi in Versilia; ma lasciamo ancora una volta la parola ad Amery, che per l’occasione dipinge un formidabile ritratto di Pompanin al lavoro:
“Lì iniziai le mie guide al loro primo incontro ravvicinato con il mare, e imparai quanto temano l’ignoto e l’insolito anche i più coraggiosi. Di tutte le guide che avessi mai conosciuto il vecchio Pompanin era forse il più completamente insouciant [spensierato] nelle situazioni più difficili. Al momento critico, a gambe e braccia divaricate su qualche parete verticale con mille o più piedi di vuoto sotto di lui, incerto su come avanzare o tornare indietro, era capace di ricordarsi che aveva voglia di fumare e di fare affidamento sulle sole dita dei piedi bilanciandovisi in equilibrio mentre armeggiava con la sua grossa pipa puzzolente, osservato con ansia da un nervoso signore consapevole che il suo destino era inesorabilmente legato a quello della guida. Ma quando si trattò di entrare in mare per un bagno, tutte le mie arti persuasive e canzonatorie non furono in grado di spingere un pallido e tremante Pompanin ad avanzare oltre il punto dove l’acqua arrivava alla vita, e quando lo solleticò un’increspatura appena più alta se ne fuggì protestando: ‘non ci sono appigli’.”
Amery tornò per la terza e ultima volta in Dolomiti nel 1931: nel Brenta con obiettivo il Campanile Basso. Nell’attesa che si liberasse la rinomata guida locale Oliviero Gasperi (a titolo di curiosità si ricorda che tra i suoi clienti figurò anche la poetessa Antonia Pozzi, che ne fu assai contenta), Amery effettuò alcune salite preliminari con suo padre Remigio, anch’egli nota guida: Castelletto Inferiore (forse la via del 1909 di Heinemann con lo stesso R. Gasperi), Cima del Grosté, Rocca di Vallesinella (ora Cima Falkner), Cima Brenta dal rif. Tuckett e Brenta Bassa dal Brentei. Con Oliviero, ora resosi disponibile, il programma era per il primo giorno Torre di Brenta e Campanile Alto, per il secondo Cima Tosa e Crozzon di Brenta, e dopo un giorno di riposo finalmente il Campanile Basso. Ma appena prima di cominciare Amery fu richiamato a Londra da una crisi di governo, e dovette rinunciare per sempre al Campanile Basso; come gli era già capitato, ad es., per il versante di Macugnaga del M. Rosa o per la stessa cima del M. Bianco, che non salì mai. Ma anche i progetti mancati testimoniano l’ambizione, la capacità e il gusto di chi li concepisce.
Amery non tornò più in Dolomiti; ma gli era rimasto il desiderio di conoscere altri gruppi delle Alpi orientali. Nel 1935 fu a Berchtesgaden in Baviera, dove salì la grande parete E del Watzmann (ed ebbe un colloquio con Hitler) e da cui visitò i vicini gruppi del Wetterstein e del Karwendel; nel 1937, in Stiria, salì la difficile parete S del Hoher Dachstein. L’anno prima, il 1936, era stato nelle Alpi Giulie; aveva letto il capolavoro di Kugy, e rimase incantato dalla Val Vrata e dall’Aljažev Dom; salì la via degli sloveni alla N del Triglav, e poi la N del Razor e la via Kugy alla NNE della Škrlatica; e da eccezionale intenditore notò il circo del Martuljek, vero cuore segreto ed Empireo delle Giulie: ma non ebbe allora il tempo, né più l’occasione, di entrarvi.
Gli anni passavano, e anche per Amery arrivò il tempo della rinuncia. Al termine di In the rain and the sun si congedò così dai lettori e dalla montagna – a noi italiani viene in mente lo struggente addio alle Pale di Dino Buzzati, e il cuore si stringe allo stesso modo -:
Resign yourself, old heart; no more shall we go scaling
Our summits of desire. Farewell delights
Of ridge and face and cleft, the proud prevailing
To god-like ease aloft. Farewell dear heights.
Farewell. Yet still remain those shining ranges
Above the vale of years ensphered on high,
Where we’re still free, despite all other changes
To climb the golden peaks of memory.
Rassegnati, vecchio cuore: non andremo più a scalare / I culmini del nostro desiderio. Addio alle deliziose / Creste, pareti e fessure, all’orgoglio di prevalere sulle difficoltà / fino al sollievo quasi divino della cima. Addio care vette. // Addio. Ma ancora stanno salde quelle catene splendenti, / Aureolate sopra l’abisso degli anni trascorsi, / E restiamo ancora liberi, nonostante ogni mutamento, / Di salire lassù le cime dorate del ricordo.